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tale ipotesi, «la domanda di restituzione può essere presentata dal cedente o
prestatore entro il termine di due anni dall'avvenuta restituzione al cessionario o
committente dell'importo pagato a titolo di rivalsa».
In altri termini, come già più volte chiarito dalla prassi (cfr. per tutte, la
risposta ad interpello n. 66, pubblicata l’11 marzo 2024 nell’apposita sezione del
sito istituzionale dell’Agenzia delle entrate), la citata disciplina del rimborso
dell’IVA, nel rispetto della neutralità dell’imposta, garantisce al cedente/prestatore
la possibilità di ottenere il rimborso dell’imposta inizialmente versata all’Erario.
Tale possibilità è espressamente subordinata all’avvenuta restituzione al
cessionario/committente dell’imposta indebitamente addebitata in fattura, imposta
che lo stesso cessionario/committente deve aver restituito all’Erario a seguito di un
accertamento definitivo.
Va comunque sottolineato che le norme richiamate sono da leggersi in
combinato disposto con il successivo comma 3 del medesimo articolo 30-ter, a
mente del quale «[l]a restituzione dell’imposta è esclusa qualora il versamento sia
avvenuto in un contesto di frode fiscale».
Così, per riprendere l’esempio sopra formulato, se, in un contesto di frode,
a seguito dell’attività di controllo da parte degli uffici dell’Agenzia delle entrate il
rapporto contrattuale tra le parti venga riqualificato e conseguentemente escluso il
diritto alla detrazione dell’IVA collegata alle prestazioni afferenti al contratto
asseritamente ritenuto di appalto per invalidità del titolo giuridico dal quale
scaturiscono, non essendo configurabile una prestazione dell’appaltatore
imponibile ai fini IVA, non potrà darsi luogo ad alcuna restituzione dell’imposta.
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